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L’alta inflazione e i grandi profitti dei produttori di petrolio

by Vittorio Daniele
04/08/2022
in Internazionalizzazione, Settori produttivi
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L’alta inflazione e i grandi profitti dei produttori di petrolio

Spinta dall’aumento dei costi del gas naturale e del petrolio, l’inflazione ha raggiunto il massimo da quasi 40 anni. Il prezzo del petrolio è notevolmente cresciuto nel 2021 e il conflitto russo-ucraino ha esacerbato un fenomeno già in atto. I paesi dell’OPEC hanno gestito l’offerta, beneficiando dei prezzi elevati. Le compagnie petrolifere hanno realizzato enormi profitti, mentre il potere d’acquisto delle famiglie si è ridotto.

L’inflazione e il prezzo del petrolio

A giugno 2022, nel nostro paese, il tasso d’inflazione ha raggiunto l’8,5% su base annua. Era da quasi quarant’anni che non si registrava un valore così elevato. Quello italiano non è, però, un caso isolato. Nell’Unione Europea, per esempio, il tasso d’inflazione è stato, mediamente, del 9,6% su base annua, negli Stati Uniti del 9%.

In tutti i paesi, l’inflazione è stata alimentata dalla dinamica dei prezzi dell’energia che, a loro volta, dipendono da quelli del petrolio e del gas, le due fonti energetiche primarie. Nella UE, a giugno, il prezzo dell’energia era cresciuto mediamente del 41% annuo, mentre quello del gas naturale di quasi il 53%. Il prezzo del petrolio, come quello del gas, ha cominciato ad aumentare a marzo 2021. Lo scoppio del conflitto russo-ucraino, a febbraio 2022, ha esacerbato una tendenza che era in atto da quasi un anno.

L’aumento del prezzo del petrolio segue la forte diminuzione registrata nei primi mesi del 2020 quando, a causa della pandemia, l’attività economica globale si è bruscamente ridotta, portando a una caduta della domanda globale di energia. Come mostra la figura 1, il calo della domanda di petrolio si è accompagnato con un drastico taglio della produzione. Nel 2021, la rapida ripresa economica ha spinto verso l’alto la domanda di petrolio e suoi derivati. La produzione si è espansa rimanendo, però, a livelli inferiori alla domanda, per cui le scorte sono diminuite. Nonostante l’aumento, il numero di barili di petrolio prodotti è rimasto al di sotto del livello del 2019, quando aveva raggiunto un picco storico.

L’interazione tra domanda e offerta spiega la dinamica dei prezzi. Come mostra la figura 2, tra gennaio e aprile 2020, a causa della flessione della domanda, il prezzo del petrolio è diminuito del 71%, passando da 63,7 a 18,4 dollari al barile. Poi, l’aumento della domanda a fronte della lenta espansione della produzione ha causato una pressione al rialzo sul prezzo che, a febbraio 2021, ha raggiunto nuovamente il livello pre-pandemia. La tendenza è continuata anche nei mesi successivi, fino al picco di 117dollari al barile, raggiunto a febbraio 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina.

In sintesi, i dati mostrano come il prezzo del petrolio (ma anche il gas ha avuto una dinamica simile) abbia seguito una tendenza crescente sin da marzo 2021, con l’espansione della ripresa economica e dunque della domanda di energia. L’offerta è gradualmente aumentata ma meno rispetto alla domanda, causando una pressione sul prezzo. Per quali ragioni?

L’OPEC e la gestione dei prezzi

Quello del petrolio è un mercato oligopolistico, in cui l’OPEC (organizzazione composta da 13 paesi esportatori di petrolio) gioca un importante ruolo. Nell’ultimo quinquennio, l’OPEC ha gestito mediamente il 40% della produzione e il 60% delle esportazioni mondiali di petrolio e una quota significativa della produzione mondiale di gas naturale. Dal 2016, alle riunioni dell’organizzazione, in cui si decidono le quantità di petrolio da immettere sul mercato, partecipano anche altri 10 paesi produttori, tra cui la Russia. Questo “cartello” allargato a 24 paesi viene comunemente chiamato OPEC+ (vedi nota in fondo all’articolo).

L’OPEC cerca di gestire il prezzo del petrolio definendo gli obiettivi di produzione dei paesi membri. Un indicatore della misura in cui l’OPEC esercita un’influenza al rialzo sui prezzi è dato dalla capacità produttiva inutilizzata, costituita da riserve sotterranee pronte per essere prodotte. La maggior parte di queste riserve è detenuta dall’Arabia Saudita, il paese leader dell’organizzazione. Nel 2020, la capacità inutilizzata dell’Opec è aumentata considerevolmente a causa dei tagli straordinari alla produzione (10 milioni di barili al giorno, poi ridotti a 5,8 milioni) adottati per contrastare il calo della domanda dovuto alla pandemia. Secondo l’EIA (Energy Information Administration), la capacità produttiva inutilizzata dell’OPEC+ sarebbe rimasta a livelli elevati anche nel 2021 (6,9 milioni di barili/giorno di cui circa il 75% controllato da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Russia). Le stime sull’effettiva capacità inutilizzata dell’Arabia Saudita sono, comunque, incerte.

Quando le compagnie petrolifere non-OPEC riducono la produzione, il potere dell’OPEC d’influenzare i prezzi gestendo le quantità si rafforza. È quanto accaduto nel 2021, quando l’OPEC+ ha gradualmente espanso la produzione, mentre quella non-OPEC, in particolare degli Stati Uniti, si è ridotta. La lenta crescita dell’offerta rispetto alla domanda ha spinto verso l’alto i prezzi e, dunque, i ricavi. Nel 2021, per i 13 membri OPEC, le entrate derivanti dalle esportazioni di petrolio hanno raggiunto i 561 miliardi di dollari, con un aumento del 77% rispetto al 2020, quando erano crollate a causa della pandemia.

Come abbiamo visto, il prezzo del petrolio ha cominciato la sua ascesa a marzo 2021 (+4,15%). Ciò in seguito alla riunione dell’OPEC+, in cui il gruppo ha stabilito che la produzione sarebbe rimasta sostanzialmente stabile fino ad aprile. In quell’occasione, l’Arabia Saudita ha deciso di estendere i tagli volontari alla produzione di un milione di barili al giorno anche al mese successivo (un aumento modesto è stato accordato solo alla Russia e al Kazakistan). A giugno 2021, l’OPEC+ ha iniziato ad allentare gradualmente l’offerta di petrolio, pianificando un aumento della produzione di 400.000 barili al giorno. La politica di contenimento dell’offerta, rispetto alla crescita della domanda, è continuata nei mesi successivi, nonostante alcuni paesi, tra cui gli Stati Uniti, chiedessero aumenti della produzione. Nella riunione del 4 ottobre 2021, l’OPEC+ ha stabilito di continuare ad aggiungere 400.000 barili al giorno, nonostante le richieste degli stati importatori per un ulteriore allentamento della produzione. Ancora, il 4 novembre, l’OPEC+ ha deciso di continuare con il suo piano di produzione, non aumentando ulteriormente le forniture, nonostante i massimi pluriennali dei prezzi del greggio e la pressione degli Stati Uniti per raffreddare il mercato.

Quando, a febbraio 2022, la Russia ha invaso l’Ucraina, il prezzo del brent è schizzato a 117 dollari al barile, a causa del panico sui mercati, con notevoli aumenti del costo dei carburanti. L’OPEC+ forniva ancora milioni di barili al giorno in meno rispetto al livello pre-pandemia. Anche la produzione complessiva delle società petrolifere non-OPEC, incluse quelle statunitensi, è rimasta a lungo al di sotto di quella pre-pandemia. In un mercato energetico caratterizzato da prezzi elevati, e ormai turbolento per le sanzioni alla Russia, a giugno 2022, l’OPEC e suoi partner, probabilmente anche per le richieste internazionali, hanno concordato un aumento della produzione di petrolio di 648.000 barili al giorno.

Prezzi elevati e grandi profitti

L’aumento dei prezzi ha generato enormi profitti per tutte le compagnie petrolifere, non solo per quelle dei paesi aderenti all’OPEC+. È significativo che, il 15 giugno 2022, il presidente Biden abbia invitato i dirigenti delle principali società petrolifere e del gas statunitensi ad aumentare la produzione di prodotti petroliferi raffinati, definendo inaccettabili i margini di profitto, storicamente alti, delle raffinerie che comportano costi elevati a carico dei cittadini. Ancor più esplicite le parole di Hardeep Singh Puri, Ministro del petrolio e del gas dell’India, secondo cui l’aumento del prezzo del petrolio sarebbe il risultato di deliberate scelte dei produttori:

“Dopo il lancio del vaccino contro il Covid-19, quando l’economia globale ha visto una ripresa a forma di V, i produttori di petrolio hanno trattenuto l’offerta per gonfiare artificialmente i prezzi e incassare i loro profitti. Exxon Mobil, la più grande compagnia petrolifera del mondo, nel quarto trimestre 2021-22, ha registrato utili record su sette anni, con profitti operativi derivanti dal solo pompaggio di petrolio e gas fino a 9,3 miliardi di dollari, mentre Shell ha registrato utili rettificati di 9,1 miliardi di dollari per i tre mesi fino a tutto marzo, nonostante il conflitto Russia-Ucraina e le sanzioni. Le decisioni dell’OPEC + di limitare la quantità immessa sul mercato mantengono i prezzi elevati”.

Il mercato del petrolio (e considerazioni simili potrebbero essere fatte per quello del gas) è influenzato non solo da fattori economici, ma anche da valutazioni politiche e strategie geopolitiche che, prevedibilmente, avranno un peso crescente nel prossimo futuro.


L’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) è composta da: Algeria, Angola, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Venezuela. L’OPEC+ comprende, oltre ai paesi OPEC, i seguenti: Azerbaijan, Bahrain, Brunei, Kazakistan, Malaysia, Messico, Oman, Russia, Sud Sudan e Sudan.


Vittorio Daniele

Vittorio Daniele

Vittorio Daniele è stato Professore ordinario di Politica Economica presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. La sua attività di ricerca ha riguardato, principalmente, i divari regionali in Italia in prospettiva storica e l'economia dello sviluppo. Oltre a numerosi articoli ha pubblicato i volumi: La crescita delle nazioni. Fatti e teorie, Rubbettino, 2008; Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (con Paolo Malanima), Rubbettino, 2011; Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d'Italia, Rubbettino, 2019 (il volume ha ricevuto il Premio Sele d'Oro Mezzogiorno 2020).

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