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Il welfare che fiorisce nei territori: la scommessa di Polis

by Angelo Palmieri
13/06/2025
in Istituzioni, Società e Demografia
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Il welfare che fiorisce nei territori: la scommessa di Polis

Il welfare che fiorisce nei territori: la scommessa di Polis

Angelo Palmieri¹ – Gianfranco Piombaroli²
¹ Sociologo
² Presidente Cooperativa Polis – Perugia

Polis è attiva in sei Regioni italiane – Umbria, Abruzzo, Toscana, Puglia, Sardegna e Marche – dove declina il proprio modello di welfare generativo in dialogo costante con i territori e le loro specificità.

Negli ultimi anni si è imposta con crescente urgenza la necessità di archiviare una concezione del welfare ancorata alla sola erogazione di prestazioni e alla redistribuzione di risorse secondo una logica emergenziale, riparativa o meramente compensativa. Una tale visione, pur avendo svolto un ruolo storicamente rilevante, si rivela oggi inadeguata a intercettare la complessità dei bisogni contemporanei e a generare processi sostenibili di inclusione e capacitazione sociale. Le profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche – accelerate dapprima dalla crisi del 2008 e, successivamente, dalla crisi pandemica – impongono un ripensamento sistemico delle politiche di protezione e inclusione. Il sistema di protezione sociale tradizionale, redistributivo e assistenziale, seppur ancora necessario in molti contesti, non è più sufficiente a garantire una risposta strutturale e sostenibile alle nuove forme di disuguaglianza e vulnerabilità. La sfida oggi è quella di costruire un modello capacitante, in grado di aumentare le opportunità effettive delle persone. Come sottolineano Stefano e Vera Zamagni, la cooperazione sociale nasce per internalizzare nel processo economico il principio di reciprocità, contribuendo alla costruzione di un’economia civile e generativa, fondata su legami fiduciari e non solo su scambi contrattuali (La cooperazione. Tra mercato e comunità, Il Mulino, 2008).

Dalle prestazioni all’empowerment

In questa direzione si colloca il concetto di capabilities, elaborato da Amartya Sen, secondo cui la libertà reale degli individui non dipende solo dalle risorse disponibili, ma dalla possibilità concreta di trasformarle in funzionamenti desiderabili, ovvero in forme di vita liberamente scelte e socialmente rilevanti. In altre parole, un modello di coesione sociale autenticamente moderno deve saper garantire opportunità reali, non solo prestazioni. Occorre pertanto ripensare i modelli di intervento sociale e sanitario secondo una logica sistemica e relazionale, capace di restituire centralità alle persone e complessità ai contesti. Questo significa superare la mera misurazione degli output, ovvero la quantità di prestazioni erogate, per orientarsi invece verso una valutazione degli outcome effettivi: miglioramenti tangibili e duraturi nella qualità della vita e nello sviluppo del potenziale reale delle persone. Significa inoltre abbandonare l’idea della prestazione come fine in sé, per riconoscere e valorizzare il protagonismo dei cittadini, la loro agency, il loro coinvolgimento attivo nei percorsi di cura, assistenza e inclusione. In questa prospettiva, è necessario sostituire l’uniformità standardizzata degli interventi con percorsi personalizzati, capaci di tener conto del contesto socio-culturale di appartenenza, delle reti familiari e comunitarie, e delle aspirazioni individuali. Solo in questo modo è possibile costruire un’infrastruttura relazionale davvero abilitante, che riconosce la complessità delle esistenze e si misura sulla loro capacità di fiorire. In quest’ottica, si pensi a un giovane in situazione di povertà educativa, che grazie a un progetto educativo personalizzato, costruito insieme a una rete di operatori, ha potuto accedere a un laboratorio teatrale, ricevere un tutoraggio costante e, infine, riattivare il percorso scolastico interrotto. In quel caso, la risorsa non è stata solo il servizio in sé, ma la possibilità di rimettersi in cammino, dentro una comunità che ha saputo farsi compagna di strada.

Il ruolo cruciale della cooperazione sociale

All’interno di questa transizione culturale, la cooperazione sociale assume un ruolo strategico. Essa è oggi uno degli attori più dinamici nella costruzione di welfare di prossimità, flessibile e abilitante. Le cooperative sociali, proprio per la loro natura ibrida (tra impresa e solidarietà), sono capaci di:

  • mobilitare capitale relazionale all’interno dei territori;
  • produrre servizi innovativi fondati sulla co-progettazione con le istituzioni pubbliche;
  • costruire percorsi individualizzati capaci di tenere insieme dignità, lavoro, inclusione e cittadinanza attiva.

Nel panorama nazionale, la cooperazione sociale rappresenta oggi una colonna portante delle politiche di inclusione. Secondo le fonti più recenti, il numero delle cooperative sociali attive in Italia oscilla tra le 11.000 e le 17.600, a seconda dei criteri di registrazione e delle rilevazioni ufficiali, come quelle del RUNTS e delle principali centrali cooperative. Queste realtà coinvolgono una forza lavoro di oltre 400.000 professionisti – tra educatori, operatori socio-sanitari, psicologi, mediatori culturali – contribuendo in modo decisivo alla tenuta sociale del Paese. Non meno rilevante è l’impatto sulla cittadinanza: si stima che circa 7 milioni di persone in Italia ricevano servizi erogati direttamente dalle cooperative sociali, confermandone il ruolo insostituibile nel rispondere ai bisogni emergenti della collettività. Un universo spesso invisibile nel dibattito pubblico, ma essenziale per promuovere inclusione, prossimità e innovazione sociale.

L’esperienza di Polis: un laboratorio umbro di welfare generativo

Costituitasi nel 2008 attraverso un processo di integrazione tra due realtà cooperative umbre, Polis ha progressivamente definito un’identità organizzativa fondata su principi mutualistici, solidaristici e orientati all’impatto sistemico.  L’unificazione non si è limitata alla mera sommatoria di esperienze pregresse, ma ha generato una struttura coerente, dotata di una visione trasformativa della cooperazione sociale come infrastruttura relazionale, attore politico e agente di innovazione nei territori. La sua lunga attività nei campi educativo, sociale, sanitario e formativo ne fa una “buona pratica” paradigmatica all’interno di un modello generativo di welfare. L’approccio si articola in quattro linee strategiche che si integrano fra loro, creando un ecosistema di servizi volto non solo a mitigare i bisogni, ma a trasformarli in opportunità di crescita individuale e comunitaria. Sotto il profilo economico, ha registrato un trend di crescita significativo e progressivo: tra il 2008 e il 2024 il fatturato è passato da 18,8 a oltre 47,4 milioni di euro, evidenziando un incremento complessivo del 152% e un tasso medio annuo di crescita pari al 9%. Questo sviluppo, frutto di un progressivo consolidamento gestionale e di una capacità adattiva ai contesti locali, si è accompagnato a un’espansione territoriale rilevante. Attualmente Polis opera in sei Regioni italiane, configurandosi come una rete operativa multiregionale in grado di adattare modelli e processi operativi ai contesti specifici, pur confrontandosi con le criticità che caratterizzano la replicabilità e la sostenibilità dei servizi in ambienti socio-economici eterogenei. L’approccio di Polis si avvicina a quanto il sociologo Pierpaolo Donati definisce «relational welfare», ovvero un sistema in cui le relazioni sociali sono il vero capitale da rigenerare, perché «una società è sana se i suoi legami lo sono» (Donati, Sociologia della relazione, Il Mulino, 2013).

 Costruzione di alleanze educative territoriali

Questa modalità operativa è stata sperimentata con efficacia in diversi contesti regionali – dall’Umbria alla Sardegna, passando per le Marche e la Puglia – adattandosi alle specificità locali ma mantenendo una coerenza metodologica condivisa. Dunque non si muove secondo una logica di autosufficienza organizzativa, bensì assume la forma di un nodo connettivo all’interno di un più ampio ecosistema territoriale, dove convergono istituzioni scolastiche, enti locali, associazioni del terzo settore, famiglie e imprese sociali. L’identità operativa della cooperativa si fonda su una visione sistemica e relazionale dell’impianto dei servizi sociali, in cui l’obiettivo non è solo quello di fornire servizi, ma di alimentare processi di coesione sociale, innovazione partecipata e corresponsabilità diffusa. È in questo orizzonte che l’approccio di Polis si qualifica come potenziante: un modello capace cioè di attivare risorse latenti, di rafforzare le capacità delle persone e di rigenerare i legami comunitari. Le pratiche messe in campo sono espressione concreta di tale visione. Attraverso processi di mappatura partecipata, realizzati tramite workshop e focus group, Polis costruisce una geografia condivisa delle risorse educative presenti sul territorio – biblioteche, centri giovanili, spazi museali – e, parallelamente, individua quei “vuoti” che richiedono nuovi interventi, orientando l’azione verso bisogni emergenti, rilevati dal basso. I tavoli di co-progettazione attivati periodicamente costituiscono spazi di deliberazione orizzontale, in cui insegnanti, genitori, operatori e rappresentanti istituzionali dialogano per definire obiettivi e modalità di intervento. In questo modo, le proposte educative non sono il frutto di una pianificazione top-down, ma nascono da un’interlocuzione reale con i territori. Particolarmente significativa è anche l’introduzione di figure come i “mentor del quartiere”, volontari formati che svolgono una funzione di mediazione tra i contesti scolastici, familiari e i minori più vulnerabili. Questi mentori non solo contrastano la dispersione scolastica, ma favoriscono una continuità educativa che si fonda sulla prossimità e sulla fiducia. All’interno di questo quadro si collocano anche i percorsi extra-curriculari aperti, concepiti non solo per arricchire l’offerta educativa, ma per rinsaldare il tessuto relazionale della comunità. È il caso, ad esempio, di un laboratorio di digital storytelling che ha visto la partecipazione congiunta di adolescenti e anziani del quartiere: i più giovani hanno messo a disposizione competenze digitali, mentre gli anziani hanno condiviso narrazioni e memorie del territorio. Il risultato è stato duplice: da un lato, la costruzione di un archivio digitale collettivo; dall’altro, la nascita di un’alleanza intergenerazionale, segnata da un reciproco riconoscimento e da una ritrovata appartenenza. In questo intreccio tra intenzione pedagogica e attivazione comunitaria, si coglie pienamente l’idea di politica sociale come infrastruttura relazionale, in cui la promozione delle competenze individuali si coniuga con la rigenerazione dei legami collettivi. È qui che Polis esercita la propria funzione trasformativa: nel creare le condizioni perché ogni persona possa sentirsi parte attiva di un corpo civico che educa, protegge e si rinnova.

 Presa in carico integrata di minori, famiglie e soggetti fragili

Polis adotta una concezione integrata della presa in carico, che supera la frammentazione settoriale degli interventi per abbracciare una visione olistica del benessere. L’individuo non è considerato alla stregua di un portatore di bisogni parziali, ma come una totalità complessa e situata, i cui aspetti educativi, psicologici, sociali e sanitari sono profondamente interrelati. Questo approccio, ispirato a una logica sistemica, si traduce in pratiche operative che favoriscono la convergenza interprofessionale e la cooperazione interistituzionale, in un’ottica di cura continuativa e personalizzata. Nel concreto, tale paradigma prende forma attraverso unità di progetto multidisciplinari: équipe composte da educatori, psicologi, assistenti sociali e mediatori culturali lavorano in modo integrato, elaborando piani individualizzati che tengono conto tanto delle fragilità quanto delle risorse del contesto. L’obiettivo non è solo quello di intervenire, ma di costruire percorsi generativi che valorizzino l’unicità di ogni persona. A ciò si affianca una collaborazione strutturata con il sistema sanitario locale, che consente un accesso agevolato a servizi specialistici, come la neuropsichiatria infantile, il sostegno psicologico e la riabilitazione. In questo modo si riducono le fratture tra il mondo educativo e quello clinico, garantendo una presa in carico realmente integrata.

Particolare attenzione è riservata al sostegno alla genitorialità, attraverso gruppi di auto-mutuo-aiuto e sportelli di consulenza educativa. Questi spazi si configurano non solo come supporto, ma come luoghi di ricostruzione di alleanze educative tra famiglia e servizi, nel segno di una genitorialità condivisa e accompagnata. A completamento del dispositivo vi è una valutazione continuativa: momenti strutturati di follow-up, con cadenza trimestrale, permettono di monitorare l’andamento dei percorsi, verificarne l’impatto e riadattare le strategie in base all’evoluzione delle situazioni. Tuttavia, il lavoro dell’impresa perugina non si esaurisce nella dimensione individuale. La cooperativa agisce infatti sulla consapevolezza che il benessere del singolo è inseparabile dalla qualità del tessuto relazionale in cui è inserito. Per questo motivo, accanto alla presa in carico personalizzata, si sviluppano pratiche orientate alla rigenerazione del capitale sociale e alla promozione della cittadinanza attiva. Tra queste, si distingue la “banca del tempo educativa”, uno spazio in cui cittadini e volontari offrono il proprio tempo per attività di tutoraggio, laboratori e iniziative culturali, in un’ottica di reciprocità che rafforza il senso dell’ambito territoriale.

Altrettanto significativo è il crowdsourcing di saperi, che coinvolge anziani, artigiani e custodi di competenze informali nei percorsi educativi: un modo per riattivare legami intergenerazionali e restituire valore a forme di conoscenza spesso marginalizzate. I laboratori di rigenerazione urbana, infine, rappresentano un’esemplificazione concreta della cura collettiva degli spazi pubblici: qui, il decoro urbano si intreccia con l’educazione civica, alimentando un rinnovato senso di appartenenza ai luoghi. E quando la vulnerabilità richiede risposte immediate e affettive, Polis attiva un network di comunità accoglienti, coinvolgendo famiglie, parrocchie e cittadini nella costruzione di reti informali di protezione per minori fragili. In questo modo, l’accoglienza non è più una funzione delegata, ma una responsabilità condivisa. Tutto ciò conferma l’impegno nella costruzione di un’infrastruttura trasformativa, capace di coniugare cura individuale e coesione sociale, intervento professionale e responsabilità collettiva. Un modello che non si limita a “fare assistenza”, ma che ambisce a riattivare soggettività, a risanare legami, a nutrire quella dimensione comune da cui dipende, in ultima istanza, la qualità della vita democratica.

 Progettazione partecipata con enti pubblici e reti civiche

Polis promuove una visione del welfare fondata su un principio chiave: i processi sociali non possono più essere governati attraverso logiche verticali o centralizzate. Le politiche pubbliche, per essere realmente efficaci e durature, devono nascere da una responsabilità condivisa, che coinvolga in modo attivo istituzioni, cittadini, corpi intermedi e attori territoriali. In questa prospettiva, la cooperativa non si limita a erogare servizi, ma si configura come un soggetto facilitatore di percorsi deliberativi inclusivi, capaci di generare soluzioni co-costruite, più aderenti ai bisogni reali dei territori e, proprio per questo, più sostenibili nel tempo. Questa impostazione si avvicina a ciò che potremmo definire un modello “odocratico” di governance sociale: una forma di potere che non si concentra nei vertici istituzionali, ma che si distribuisce nelle pratiche quotidiane e nei luoghi della prossimità, dentro le relazioni tra scuola e famiglia, tra operatori sociali e cittadini, tra spazi pubblici e reti informali. È proprio da queste interazioni territoriali che emergono le risorse più autentiche per la trasformazione sociale. In tale orizzonte, la cooperazione si presenta come un’infrastruttura leggera ma capillare, capace di attivare legami, sostenere alleanze e generare processi di partecipazione effettiva. Non è un attore autoreferenziale, ma un connettore di energie diffuse. Concretamente, questa visione si traduce nell’adozione di strumenti operativi ben definiti. Tra i più significativi vi sono:

– i fondi misti e il co-funding, che consentono di integrare risorse pubbliche e private, superando la dipendenza da finanziamenti unilaterali e stimolando un’assunzione condivisa di responsabilità tra soggetti diversi;

– i laboratori di policy-making locale, che aprono spazi di confronto autentico tra cittadini, operatori e amministratori, nella logica di una progettazione partecipata, capace di dar vita a politiche pubbliche radicate nei territori;

– le pratiche di monitoraggio civico, attuate attraverso piattaforme digitali trasparenti e accessibili, che rafforzano l’accountability e restituiscono protagonismo ai cittadini, chiamati non solo a usufruire dei servizi, ma anche a valutarli, migliorarli, sentirli propri.

È in questo intreccio tra prossimità e responsabilità condivisa che si gioca il futuro di un welfare realmente democratico e generativo.

 Un esempio concreto: progetto di accompagnamento educativo

Nell’ultimo anno, il soggetto cooperativo ha promosso un progetto di accompagnamento educativo rivolto a minori in situazione di disagio socio-relazionale. Il percorso si è articolato attraverso attività di tutoraggio individuale, peer education e affiancamento costante nei contesti scolastici e familiari. Il modello adottato si è distinto per la sua capacità di generare fiducia, motivazione e una maggiore stabilità relazionale nei ragazzi coinvolti. Sono stati osservati miglioramenti significativi nella frequenza scolastica, nella motivazione allo studio e nella gestione delle dinamiche comportamentali. Polis promuove un approccio di co-governo dei processi sociali, fondato su una visione dialogica della responsabilità collettiva. Le sue azioni si inscrivono dentro un modello di progettazione partecipata, che coinvolge attivamente enti pubblici, reti civiche e soggetti della società civile. Questo approccio consente di costruire politiche locali condivise, più aderenti alla realtà dei territori e più capaci di generare valore sociale duraturo. Le pratiche operative attraverso cui Polis traduce in azione la propria visione di impianto co-partecipato si articolano in dispositivi concreti, capaci di alimentare una governance sociale condivisa. Tra questi, un ruolo rilevante è assunto dai meccanismi di co-funding e dai fondi misti pubblico-privato, strumenti finanziari innovativi che consentono di mobilitare risorse in modo sinergico, superando la logica della dipendenza unidirezionale dai finanziamenti pubblici. Tali dispositivi favoriscono l’assunzione di una responsabilità diffusa, coinvolgendo in modo attivo e corresponsabile gli attori istituzionali e quelli della società civile.

A ciò si affianca la promozione di laboratori di policy-making locale, veri e propri spazi deliberativi in cui cittadini, operatori e amministratori possono confrontarsi su bisogni reali e progettare insieme soluzioni contestuali. Non si tratta di tavoli consultivi formali, ma di luoghi dialogici in cui la voce dei territori viene riconosciuta come risorsa epistemica e politica, capace di orientare in profondità le politiche pubbliche. Infine, particolare attenzione è riservata al monitoraggio civico, che l’impresa sociale implementa attraverso piattaforme digitali aperte e accessibili, volte a garantire trasparenza, rendicontazione e una valutazione dal basso delle azioni realizzate. Questi strumenti non solo rafforzano l’accountability, ma restituiscono protagonismo ai cittadini, configurando una democrazia sociale fondata sulla fiducia e sulla partecipazione. All’interno di questa architettura metodologica si colloca il progetto di accompagnamento educativo promosso da Polis nell’ultimo anno, che rappresenta un esempio emblematico di come la progettazione partecipata possa tradursi in interventi capaci di trasformare il disagio in percorso di crescita. Rivolto a minori in situazione di fragilità socio-relazionale, il progetto ha combinato tutoraggio individuale, peer education e affiancamento nei contesti scolastici e familiari, costruendo un ambiente di sostegno integrato e continuativo.

L’elemento distintivo di questa esperienza è stato la sua propensione a generare fiducia, stabilità relazionale e rinnovata motivazione nei ragazzi coinvolti. I risultati osservati – dall’aumento della frequenza scolastica a un miglioramento nella gestione delle dinamiche comportamentali – testimoniano l’efficacia di un approccio che non si limita a offrire supporto, ma che costruisce alleanze educative autentiche, restituendo senso e orizzonte alla relazione pedagogica. L’approccio adottato si è contraddistinto per la capacità di costruire fiducia e stabilità relazionale nei ragazzi coinvolti, generando miglioramenti significativi nella frequenza scolastica, nella motivazione allo studio e nella gestione delle dinamiche comportamentali. Elemento qualificante del progetto è stato il ruolo di “terzo soggetto educativo”, in grado di affiancare e rinforzare la relazione tra scuola e famiglia, senza mai sostituirsi ad essa, che sia realmente un’impresa sociale.  Il progetto di accompagnamento educativo realizzato dal nodo generativo non si limita a intervenire su fragilità individuali, ma si colloca dentro una visione sistemica del disagio e dell’educazione. Qui la presa in carico del minore diventa una soglia d’accesso per rigenerare legami, ricostruire fiducia e abilitare appartenenze. In un tempo in cui la solitudine educativa è spesso il sintomo più visibile della disgregazione sociale, questo progetto si configura come un tentativo concreto di ricucitura del tessuto relazionale. Il “terzo soggetto educativo” – che non è supplente, ma ponte – rappresenta un’istanza generativa (o, per usare un termine meno abusato, abilitante) che si oppone sia alla deriva assistenzialistica, sia alla privatizzazione del compito educativo, sempre più delegato alle famiglie o alle scuole in solitudine. L’intervento di Polis si radica in quella che Amartya Sen ha definito capability approach, ma lo estende a una dimensione più chiaramente comunitaria, in cui l’empowerment individuale si accompagna a una rigenerazione dell’ambiente sociale. Si tratta, in altre parole, di far spazio a soggettività in divenire, che trovano nella cura relazionale una condizione per emergere e per decidere di sé.

Dal punto di vista filosofico, questo progetto testimonia l’urgenza di uscire da quella che Byung-Chul Han ha chiamato “società della prestazione” – una società che lascia soli i fragili, considerandoli meri fallimenti individuali. Al contrario, qui si agisce sull’intreccio, sulla soglia tra l’io e il noi. L’educazione non è un’azione tecnica, ma un atto di fiducia reciproca: una scommessa su un’umanità che può ancora fiorire, se sostenuta da legami giusti. Come ricordava Paulo Freire, “nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, attraverso la mediazione del mondo”. In questa prospettiva, la piattaforma civica e solidale si pone non come dispensatore di soluzioni, ma come “facilitatore di possibilità”, incarnando una pedagogia della reciprocità che diventa anche politica della speranza.

 Per un welfare integrato e consapevole

La pandemia ha mostrato, in modo forse irrimediabile, che la salute non può più essere considerata un bene individuale o un’esclusiva competenza del sistema sanitario. Essa si configura come un bene relazionale e sistemico, intrecciato con le condizioni ambientali, i livelli di istruzione, la stabilità lavorativa, le reti familiari e comunitarie. In questo scenario, la fragilità non è più l’eccezione, ma la regola del vivere contemporaneo, e richiede politiche intersettoriali capaci di leggere la complessità delle vite reali. È dunque tempo di superare la logica settoriale degli interventi, per adottare un approccio che riconosca il carattere interdipendente e strutturalmente vulnerabile dell’esperienza umana. Un approccio fondato su consapevolezza, cooperazione e responsabilità condivisa, che restituisca senso al legame sociale e che faccia della salute un indicatore non solo biologico, ma anche civico, educativo ed ecologico. In un contesto in cui il welfare tende sempre più a essere ricondotto a un paradigma tecnocratico o a una logica di mercato, il presidio educativo e sociale ha preservato una visione relazionale e comunitaria dell’intervento sociale. La presa in carico, in questa prospettiva, non è intesa come mera erogazione prestazionale, ma come dispositivo generativo di legami fiduciari, riconoscimento reciproco e capitale sociale. La qualità dei servizi non può essere scissa dalla qualità delle relazioni che li rendono possibili: è proprio questa dimensione intersoggettiva e fiduciaria ad aver garantito la tenuta organizzativa del soggetto mutualistico anche nei contesti più critici. Il lavoro sociale, così concepito, assume una valenza trasformativa, in quanto capace di ricostruire tessuti comunitari e di attivare processi di empowerment collettivo.

Oltre il presente: comunità, coesione e mutualismo trasformativo

La sfida che attende oggi la cooperazione sociale – e Polis in particolare – è quella di non smarrire la propria vocazione generativa proprio mentre si consolida. In un tempo segnato dalla frammentazione dei legami e dalla crisi delle mediazioni collettive, la cooperazione può e deve diventare un agente attivo di ricomposizione comunitaria. Questo significa abitare i territori non solo per erogare servizi, ma per ascoltare i fermenti sociali, intercettare le risorse latenti, generare alleanze nuove. La prospettiva è quella di rafforzare i territori come spazi politici, affettivi e relazionali, dentro cui attivare processi di coesione e sperimentare forme mutualistiche emergenti, non imposte dall’alto ma nate dal basso. La realtà organizzativa, in questo orizzonte, non è soltanto un ente di servizio, ma un soggetto politico in senso alto: capace di trasformare bisogni in diritti, e di farlo attraverso pratiche condivise, partecipate, radicate nel quotidiano.  In questo scenario, il futuro del welfare non si gioca unicamente sul terreno delle risorse pubbliche o degli assetti istituzionali, ma nella capacità di riconoscere i contesti relazionali e simbolici come fucine di innovazione sociale e incubatori di legami orientati al bene comune. Il cantiere di prossimità, in quanto organizzazione capace di ibridare impresa, solidarietà e democrazia, può porsi come uno dei laboratori più promettenti per questa rigenerazione civile. In un piccolo borgo interno, un gruppo informale di cittadini, supportato da un attore collettivo, ha trasformato un ex edificio dismesso in uno spazio comunitario per laboratori, incontri e mutuo aiuto. Lì oggi si sperimentano pratiche di welfare dal basso, nate da bisogni reali e animate da un senso di appartenenza che si rigenera nel fare insieme. È in luoghi così che la cooperazione sociale diventa agente di trasformazione quotidiana.

Conclusioni

Il passaggio dal paternalismo alla consapevolezza è oggi una delle sfide più urgenti, ma anche più esigenti, che il nostro tempo ci consegna. Non si tratta solo di ripensare strumenti e risorse, ma di ricostruire una cultura della responsabilità condivisa. In questo scenario, gli attori collettivi non sono marginali, bensì cerniere tra istituzioni e cittadini, laboratorio civico e motore di innovazione sociale. La riforma del welfare non si scrive nei decreti, ma si costruisce nei territori, nel quotidiano tessere relazioni e rigenerare fiducia. Serve visione, metodo, ma soprattutto il coraggio politico e umano di credere che un altro modello di società – più giusta, coesa e generativa di opportunità – non solo è possibile, ma è già in atto nelle periferie vitali del Paese. Questa traiettoria è alimentata dall’esperienza accumulata nei diversi contesti regionali in cui Polis è attiva – Umbria, Abruzzo, Toscana, Puglia, Sardegna e Marche – che confermano la possibilità di un welfare relazionale e condiviso, radicato nella vita concreta dei territori. La visione incarnata dalla realtà perugina è anche una risposta concreta all’appello di Luciano Gallino, che ci ricordava come la coesione sociale non si costruisce per decreto, ma attraverso l’azione di attori collettivi capaci di creare reti di solidarietà e senso. Questa è la sfida di Polis.


 

Angelo Palmieri

Angelo Palmieri

Angelo Palmieri è un sociologo. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Economia e Gestione delle aziende sanitarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul management sanitario, politica sociale e programmazione dei servizi alla persona. Per conto della casa editrice Franco Angeli ha curato il volume “Assistenza Sociosanitaria in Molise. Rapporto 2009” (2010) in collaborazione con Americo Cicchetti. Svolge attività di consulenza come progettista sociale per diversi Enti del Terzo Settore.

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