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La medicina territoriale come secondo pilastro del Servizio Sanitario Nazionale

by Angelo Palmieri e Redazione
24/05/2020
in Istituzioni, Società e Demografia
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La medicina territoriale come secondo pilastro del Servizio Sanitario Nazionale

La medicina territoriale come secondo pilastro del Servizio Sanitario Nazionale
A cura di Matteo Ruggeri* ** e Angelo Palmieri***  .

La tendenza dei nostri sistemi sanitari è stata quella di operare costantemente sulla frontiera di efficienza.  Alla luce dell’emergenza pandemica crediamo sia inconfutabile affermare che non sia più sostenibile governare i processi di cura e assistenziali come fatto fino ad oggi. L’attuale quadro epidemiologico e pandemico sollecita l’adozione di nuove policy che siano in grado di affrontare, senza pre-comprensioni di tipo ideologico, due questioni centrali: un rilancio dei servizi socio-sanitari territoriali, già particolarmente carenti in molte Regioni, con riferimento ad esempio alle cure domiciliari, e una più efficace gestione dei processi di integrazione ospedale-medicina territoriale.

I dati della sperimentazione del Nuovo Sistema Nazionale di Garanzia dei Livelli Essenziali di Assistenza, svolta dal Ministero della Salute e dalle Regioni, evidenziano che ben dieci Regioni risultano inadempienti nel garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria distrettuale; siamo sotto la media europea (4%) per quanto riguarda l’accesso ai servizi domiciliari (3,5% della popolazione). Per quanto concerne l’assistenza domiciliare, nel 2015 solo l’1,2% di anziani over 65 ha beneficiato di interventi in regime ADI (Istat, 2019). A ciascun paziente sono state garantite mediamente venti ore annue di interventi in ADI (Annuario Statistico SSN, 2017). Dei 2,5 milioni di anziani non autosufficienti, sono stati assistiti a domicilio 1.014.626 pazienti nel 2017, con l’8,8 % rappresentato da pazienti terminali (Annuario Statistico SSN, 2017). Registriamo inoltre, significative disparità territoriali nell’accesso ai servizi domiciliari: dal 4% di anziani over 65 trattati in ADI in Veneto al 2% della Campania, Puglia e Calabria (Monitoraggio Lea anno 2017).

Altro elemento di non secondaria rilevanza è la carenza di personale sanitario; secondo uno studio della Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche in Italia si registra una carenza di personale infermieristico pari a 30.000 unità. E’ evidente, alla luce del quadro suindicato, che per poter rilanciare il tema dell’assistenza territoriale, come secondo pilastro del Servizio sanitario nazionale, occorra un piano di investimento che sappia allocare le risorse non senza una chiara visione strategica; sarà importante, ad esempio, puntare su personale medico specializzato, aumentare la dotazione organica del personale infermieristico. Ci sembra, alla luce della gestione dell’emergenza da Covid-19, fondamentale la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità introdotta dal Patto per la Salute 2019-2021 e richiamata dall’ultimo Decreto Rilancio, nell’ambito della gestione dei piani di cronicità e dei pazienti positivi che per sintomatologia e quadro clinico potranno essere gestiti a domicilio, ma non solo. Basti pensare all’aumentata incidenza della domanda di salute legata alla prevalenza delle malattie cronico-degenerative e della disabilità nelle sue varie forme.

Altra questione centrale, che affiora con sempre più insistenza nel dibattito di questi giorni, è riconducibile al tema di una maggiore integrazione ospedale-medicina territoriale; la necessità di coordinare comportamenti e azioni che fanno riferimento a organizzazioni, figure assistenziali e sistemi assistenziali differenti. L’area dell’integrazione richiede un cambiamento di prospettiva rilevante nell’azione organizzativa, con un focus organizzativo che si sposta da strutture gerarchiche e funzioni organizzative, a processi (a valenza sociale, clinica e riabilitativa) incentrati sul paziente-persona. Riteniamo considerevole la necessità di ripensare strategicamente a nuovi piani di gestione delle cronicità e delle fragilità da potenziare a scopi preventivi a livello distrettuale, con il concorso della medicina generale, organizzata nelle sue diverse forme anche associative, gli enti del terzo settore, in una logica sussidiaria, e le aziende ospedaliere. Sarà necessario approntare sistemi di servizi sociosanitari capaci di contemperare azioni di miglioramento della qualità e di risposta efficace ai bisogni della domanda, spostando l’attenzione sul territorio quale soggetto attivo che intercetta il bisogno sanitario e si fa carico in modo unitario e integrale delle necessità sanitarie e socio-assistenziali del cittadino-paziente.

In tale prospettiva assume sempre più rilevanza il ripensamento dei ruoli professionali in sanità con un coinvolgimento sempre maggiore di figure differenti da quelle del medico, come ad esempio l’infermiere e il farmacista che si occupano di attività integrative e sussidiarie rispetto a quelle di cura ed assistenza in senso stretto, come l’educazione ed il monitoraggio, assicurando così una tenuta della continuità assistenziale sul territorio  soprattutto a salvaguardia delle categorie più fragili e/o deboli. Evidenze scientifiche recenti emerse da un progetto di ricerca condotto in nove Paesi europei tra cui l’Italia di cui è stato responsabile uno degli autori, dimostrano come l’inserimento di tali figure professionali nella gestione delle cronicità, in un’ottica di disease management, faccia rimanere sostanzialmente invariata la qualità percepita delle cure a fronte di un risparmio d notevole di risorse.

Occorre ripensare al territorio come ad un sistema in cui il benessere individuale e collettivo è il risultato dell’azione congiunta di più attori e soggetti diversamente collocati e correlati tra loro secondo dinamiche di lavoro in rete. Proprio quest’ottica, secondo noi, dovrebbe orientare le politiche strategiche delle aziende alla presa in carico dei bisogni secondo un modello di continuità dell’assistenza.

Nella dimensione territoriale acquisiscono un ruolo crescente, rispetto al quale ci si auspica un potenziamento anche in termini di investimento di risorse, le strutture per disabili, anche con formule innovative, gli ospedali di comunità, la sperimentazione di forme associative e assistenziali innovative orientate all’integrazione sociosanitaria e l’implementazione e potenziamento di alcuni modelli istituzionali di integrazione, già previsti nei Piani sociosanitari di molte Regioni, quali a titolo esemplificativo la Casa della Salute e le UTAP, ma non ancora operativi; modelli che consentirebbero di verificare sia la concreta possibilità di presa in carico del cittadino in riferimento a tutte le attività sociosanitarie sia una maggiore integrazione con le strutture ospedaliere per quanto riguarda le proprie prestazioni. Inoltre, il case management può rappresentare una soluzione organizzativa efficace per rafforzare i processi di integrazione inter-istituzionali potendo seguire il paziente attraverso i diversi passaggi presso i distinti operatori (dalla dimissione ospedaliera ai servizi distrettuali al proprio domicilio). Infine,  sarà interessante comprendere quale sarà l’impatto in termini di appropriatezza organizzativa e assistenziale delle Unità speciali di continuità assistenziale attive (USCA), pensate per supportare i medici di medicina generale nella cura dei pazienti covid-19 che non necessitano di un ricovero ospedaliero. In Emilia Romagna sono attualmente coinvolti 400 medici; più di 20000 le prestazioni già erogate tra visite domiciliari, terapie, triage telefonici e visite alle case residenze anziani (Report Usca, SAT, Regione Emilia Romagna, 2020).

Ci sembra dunque, del tutto evidente, che se vogliamo tutelare le fasce di popolazione più esposte, perché anziane e affette da una o più patologie croniche-degenerative (nella previsione di una possibile seconda ondata epidemica ma non solo), sarà auspicabile indirizzare le politiche di scelta allocativa delle risorse verso quattro direzioni fondamentali: il riequilibrio tra ospedale e comunità, l’offerta di servizi e strutture a carattere socio-assistenziale, una maggiore estensione della continuità assistenziale e l’integrazione sociosanitaria.

Si spera che le azioni di programmazione intraprese a livello regionale, siano volte ad “ammodernare” i sistemi regionali per renderli coerenti con le nuove sfide. Crediamo sia necessario individuare strumenti che siano capaci di assicurare un’offerta di servizi sul territorio efficaci ed efficienti, correggendo così distorsioni di cui mai come in questo momento avvertiamo gli effetti.


*Ricercatore, Istituto Superiore di Sanità
**Docente di Politica Economica, St.Camillus International University of Health Sciences
***Sociologo e Dottore di Ricerca in Economia e Gestione dei Servizi Sanitari

Angelo Palmieri

Angelo Palmieri

Angelo Palmieri è un sociologo. Ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Economia e Gestione delle aziende sanitarie presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul management sanitario, politica sociale e programmazione dei servizi alla persona. Per conto della casa editrice Franco Angeli ha curato il volume “Assistenza Sociosanitaria in Molise. Rapporto 2009” (2010) in collaborazione con Americo Cicchetti. Svolge attività di consulenza come progettista sociale per diversi Enti del Terzo Settore.

Redazione

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