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Come accrescere l’internazionalizzazione dell’economia calabrese? Puntando per esempio sulle imprese eccellenti dell’agro-alimentare

by Dario Musolino
11/07/2016
in Internazionalizzazione, Settori produttivi
A A
Sviluppo regionale, a che punto è la spesa dei fondi europei?

Drapeaux Berlaymont

E’ l’export una delle voci dell’economia calabrese su cui puntare, e su cui ci sono ampi margini di miglioramento e di crescita? Lo è certamente, come anche è stato sottolineato nei mesi scorsi su queste stesse pagine (Aiello, 2016). Il modesto livello di internazionalizzazione è uno degli elementi che oggi più evidenziano lo scarso sviluppo dell’economia della Calabria. Un effetto, un sintomo della difficile condizione economica della regione. Ma anche una causa, se è vero che, in un quadro di strutturale debolezza della domanda interna, regioni e territori in Italia riescono a trovare oggi spazi di mercato e crescita solo se riescono ad essere presenti e a presidiare in modo più forte i mercati esteri.

In Calabria l’export complessivo pesa meno del 2% sul Pil regionale, è pari allo 0.1% del totale dell’export nazionale, e si contano poco più di duecento esportatori (ICE, 2015). Nelle altre regioni meridionali l’export totale invece generalmente pesa più dell’11% sul Pil regionale (solo in Molise, il 6%), corrisponde all’ 1% del totale nazionale, e si contano mediamente non meno di ottocento esportatori. Sono pochi numeri che segnalano, in modo immediato, che anche nel cosiddetto profondo Sud, non è un’ operazione impossibile avere un certo livello di proiezione internazionale. Se regioni meridionali altrettanto periferiche (come la Sicilia), parimenti afflitte da vari “mali oscuri”, quale quello della criminalità organizzata, riescono ad essere presenti sui mercati internazionali in misura più rilevante, allora vuol dire che anche per la Calabria ci sono margini per accrescere il proprio grado di internazionalizzazione, portandolo su livelli più significativi.

Ma quali sono i settori, i gruppi, le tipologie di imprese su cui puntare per rafforzare la presenza regionale all’estero?  La Calabria è caratterizzata da un lato dall’assenza di medio-grandi imprese in grado di segnare, da sole, con le loro dinamiche, i destini dell’export di un territorio (si guardi per esempio al balzo delle esportazioni osservato recentemente in Basilicata, effetto della ripresa delle vendite dell’industria automobilistica nazionale, alias FCA). Dall’altro lato, è segnata dalla presenza di un tessuto industriale scarno, tendenzialmente desertificato (Svimez, 2014), che vive prevalentemente di realtà produttive piccole, e alquanto isolate (nel senso non solo infrastrutturale del termine, ma anche produttivo, vedi assenza di distretti). Stante questa situazione, su cui grava peraltro una bassissima attrattività per gli investimenti esterni (Musolino, 2016), è chiaro che il target su cui puntare l’attenzione non possono che essere quelle singole realtà particolarmente dinamiche, vivaci, che sopravvivono bene ai primi anni di vita aziendale e riescono a raggiungere risultati in termini di redditività positivi, innovando nei processi, e in particolare nei prodotti.

La filiera agro-alimentare è apparentemente l’area dell’economia calabrese, e del Mezzogiorno, in cui più si osservano vivacità e dinamismo imprenditoriale, e realtà di eccellenza (SRM, 2013; Istat, 2016). E’ uno dei settori che, a livello paese, sta più crescendo in termini di export (+6.6% di crescita media annua nel periodo 2005-2013), e che più sta perfezionando la propria presenza e strutturazione sui mercati internazionali e nella catena globale del valore. Ed è proprio l’agro-alimentare uno dei settori su cui le altre regioni meridionali sono più impegnate per proiettarsi all’estero. E’ quindi questo uno dei treni su cui la Calabria, con le sue imprese, e con il suo potenziale, ampiamente ancora inespresso, può e deve salire per internazionalizzarsi di più.

Recentemente abbiamo avuto modo di fare alcune indagini, desk e sul campo, sulle imprese della filiera agro-alimentare calabrese, in particolare quella reggina (Musolino, 2015; Crea e Marcianò, 2015). Ebbene ciò che viene fuori è che, pur in un panorama produttivo complessivamente poco sviluppato, sono diverse le iniziative eccellenti che, dai dati di bilancio, mostrano una performance aziendale e una redditività di segno positivo e crescente. E non si tratta solo dei marchi più noti, affermati a livello nazionale e internazionale, ma anche di imprese meno conosciute, ma caratterizzate da altrettanto dinamismo, posizionate su diverse fasi della filiera. Sono imprese che puntano sulla qualità delle materie prime (per esempio, olio o ortaggi per conserve), o che innovano, in particolare sul prodotto, magari come risultato di collaborazioni con Università della regione. O anche imprese che riescono a valorizzare le competenze locali, formatesi a volte negli istituti tecnici locali, e che in alcuni casi si proiettano quasi esclusivamente sui mercati internazionali, su fasce di mercato elevate, “permettendosi di trascurare” il mercato nazionale (arrivando a quote export anche del 90%!).

Pur tuttavia, sono diversi i problemi che queste imprese incontrano. Gli imprenditori con cui ci siamo confrontati generalmente lamentano forti diseconomie esterne, in particolare con riferimento a due temi: la scarsa accessibilità, che gioca sfavorevolmente sui costi di trasporto, voce evidentemente rilevante per un’impresa dell’agro-alimentare; e l’insufficiente supporto dei soggetti istituzionali locali, pubblici e associativi, in termini finanziari, logistici, organizzativi, e in termini di expertise, quando per esempio devono partecipare a una importante fiera internazionale, oppure quando devono investire in un nuovo macchinario o in nuovo impianto, o anche quando devono assumere e formare un export manager. Soggetti che vengono spesso considerati dalle imprese come privi di visione strategica sullo sviluppo della filiera, poco coordinati nelle loro azioni, troppo attenti alla promozione a discapito del supporto alle funzioni strettamente produttive, ed eccessivamente “burocratizzati”.

Bisogna quindi puntare sui tanti piccoli e medi imprenditori eccellenti che ci sono in regione, sia quelli che noti che quelli meno noti, cioè imprenditori che hanno già ottenuto risultati importanti in termini di redditività, crescita aziendale, innovatività, e penetrazione sui mercati esteri, senza “aspettare il bando”, per riprendere l’immagine usata da Francesco Aiello. A questi, ancor prima che a quelli che “aspettano il bando”, bisogna dare supporto. Adeguato, dal punto di vista non solo finanziario, ma anche organizzativo, logistico, e delle competenze e professionalità che li devono seguire e affiancare. Anche perché non bisogna dimenticare che essere eccellenti in una regione come la Calabria è più difficile che essere eccellenti in regioni come la Lombardia o il Veneto. Guidare con successo un’impresa in un contesto territoriale che ti pone e impone costi esterni, rischi e ostacoli “anomali”, aggiuntivi, oltre quelli tipici legate all’esercizio dell’impresa (vedi, in primis, criminalità organizzata e, come si diceva sopra, la scarsa accessibilità legata innanzitutto alla forte perifericità), rivela infatti motivazioni e capacità imprenditoriali decisamente notevoli, superiori alla media, che meritano oltremodo di essere sostenute e promosse da policy-maker, intelligenti e lungimiranti.

 

Riferimenti bibliografici

Aiello F. (2016), “Il potenziale ruolo delle esportazioni in Calabria”, in OpenCalabria, 22 Gennaio.

Crea E. e Marcianò C. (2015), “Aspetti economici: il settore agricolo ed agroalimentare”, in Marcianò C. e Menguzzato G. (a cura di), Paesaggio, società ed ambiente. Dinamiche evolutive nel versate tirrenico reggino, Report Finale del progetto LANDsARE, Ottobre (non pubblicato).

ICE (2015), Rapporto ICE 2014-2015. L’Italia nell’economia internazionale, Edizione 2015.

Musolino D. (2015), “La filiera agro-alimentare locale: esperienze e performance d’impresa in un contesto problematico”, in Marcianò e Menguzzato, op. cit.

Musolino D. (2016), “L’attrattività percepita di regioni e province del Mezzogiorno per gli investimenti produttivi”, Rivista economica del Mezzogiorno, 1/2016, pp. 45-70.

SRM (2013), Un Sud che innova e produce. Vol. 2. La filiera agroalimentare, Giannini Editore, Napoli.

Svimez (2014), Rapporto Svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna.

Dario Musolino

Dario Musolino

Ricercatore senior in economia territoriale. Collaboratore stabile del Certet (Centro di Economia Regionale, dei Trasporti e del Turismo) dell’Università Bocconi. Docente a contratto di Economia internazionale presso l’Università della Valle d’Aosta. Membro del Consiglio Direttivo dell’AISRe (Associazione Italiana di Scienze Regionali). Redattore, e co-fondatore, della rivista on-line “Eyesreg – Giornale di scienze regionali” (www.eyesreg.it). Ph.D. presso l’Università di Groningen (Olanda); MSc in Human Geography Research presso la London School of Economics (Gran Bretagna); Laurea in Economia Politica presso l’Università Bocconi. Tra le sue aree di interesse: attrattività e competitività territoriale; analisi di settori, filiere, sistemi produttivi locali; mercati locali del lavoro; valutazione di impatto territoriale.

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