Mentre la popolazione italiana diminuisce, il Sud si svuota di giovani. Marco Esposito “Vuoto a perdere. Il collasso demografico. Come invertire la rotta”, Rubbettino, 2024
Il libro di Marco Esposito, responsabile economia del quotidiano “Il Mattino”, affronta un tema importante e complesso che, periodicamente, accende il dibattito politico nazionale. Il tema è quello del calo demografico che, da anni, riguarda l’Italia. Esposito ne dipana gli inevitabili aspetti tecnici e, in maniera chiara ed efficace, ne esamina le implicazioni, proponendo delle strategie per affrontarlo.
Il declino della natalità: una tendenza globale
Come molti paesi, l’Italia affronta da tempo una crisi di natalità. Nel 2022, il tasso di fertilità, cioè il numero medio di figli per donna, è stato di appena 1,24 (1,18 se ci si riferisce alle donne con cittadinanza italiana). Nettamente al di sotto di quello necessario per assicurare il “ricambio della coppia”, cioè due figli per donna.
Il declino della natalità è una tendenza mondiale. Secondo le Nazioni Unite, nel 1950 ogni donna aveva in media 5 figli; nel 2021 si è scesi a 2,3 e si stima che il numero continuerà a diminuire nei prossimi trent’anni. La crisi demografica riguarda tutti i paesi ricchi. Ciò suggerisce come essa non sia spiegabile da ragioni economiche. Spicca la Corea del Sud che, con appena 0,72 figli per donna ha il tasso di fertilità più basso al mondo. Nell’Unione Europea, nel 2022, i tassi di fertilità più alti sono stati registrati in Francia (1,79 nati per donna) e Romania (1,71); quelli più bassi a Malta (1,08 nascite per donna), Spagna (1,16) e in Italia. Con questi andamenti, entro il 2050, l’Europa perderà il 7 per cento della popolazione.
La bassa natalità e l’invecchiamento della popolazione comportano notevoli conseguenze sociali ed economiche. Deprimono i consumi e, dunque, la crescita del Pil; la quota della popolazione in età da lavoro diminuisce mentre quella degli anziani aumenta; i sistemi pensionistici si squilibrano e, mentre le entrate fiscali calano, la richiesta di assistenza sociale e sanitaria aumenta.
Il vuoto a perdere e un problema sottaciuto
In Italia, il problema della bassa natalità, scrive Marco Esposito, è stato per anni sottaciuto. A ciò ha contribuito l’abitudine della politica nazionale a procrastinare i problemi fino a quando non si manifestano in maniera acuta, ma anche una sorta di illusione. E cioè che bastasse l’emigrazione dal Sud per fornire al sistema produttivo del Nord la forza lavoro necessaria.
Questa sorta di illusione si è ormai dissolta. L’emigrazione dal Sud continua, ma città e paesi si stanno svuotando. Il Sud sta diventando una sorta di “vuoto a perdere”. Il problema della bassa natalità – e del calo demografico – è ormai macroscopico e sarebbe irresponsabile non affrontarlo per affidarsi alla non più bastevole redistribuzione interna della popolazione. Che fare, dunque?
L’obiettivo, secondo Esposito, dovrebbe essere quello di stabilizzare la popolazione italiana attorno a 57-58 milioni di persone, in maniera tale che la cosiddetta “piramide demografica”, cioè la struttura della popolazione per età, sia equilibrata. Per far ciò, suggerisce l’autore, è possibile perseguire alcune strategie o “azioni parallele” che agiscano sulle due leve che possono stabilizzare la popolazione, cioè la natalità e l’immigrazione.
Per quanto riguarda la prima leva, l’obiettivo strategico sarebbe quello di avere 700 mila nati all’anno (nel 2022 sono stati appena 393 mila), cioè due figli per coppia. Si tratterebbe poi di attuare un’equilibrata gestione dell’immigrazione, senza la quale sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, stabilizzare la popolazione.
Per favorire la natalità, è necessario contrastare le disuguaglianze di genere e fornire, in maniera equa in tutto il paese, quei servizi (come gli asili nido) di supporto alle famiglie, specie a quelle meno abbienti. Sarebbe utile anche, dice Esposito, che gli uomini, mutando atteggiamenti culturali consolidati, collaborassero di più alle attività domestiche e che, in caso di separazione, i figli non vengano penalizzati e i padri non scivolino in situazioni di povertà, come spesso accade. I cambiamenti culturali non sono, però, sufficienti.
Attrarre giovani immigrati qualificati
C’è, poi, la questione dell’immigrazione. Sotto quest’aspetto, Marco Esposito propone un programma di borse di studio-lavoro universitarie per studenti e studentesse diciannovenni, da realizzare in accordo con alcuni paesi, a partire da quelli candidati all’ingresso nella UE, come la Moldavia, o con storica presenza di emigrati italiani, come l’Argentina. Ciascuna borsa, dovrebbe prevedere vitto, alloggio e trasporto gratuiti più un assegno legato a un’attività lavorativa di 16 ore settimanali. Gli studenti stranieri dovrebbero essere distribuiti tra gli atenei di tutto il paese ma, principalmente, verso quelli del Sud che più soffrono del calo di iscrizioni.
Si tratterebbe di circa 50mila borse di studio. Un numero che può sembrare elevato ma che, ricorda l’autore, è appena un quarto di quello previsto dalla Francia che si è data l’obiettivo di attrarre 200 mila studenti stranieri. Si tratta di una misura certamente interessante, perché consentirebbe di avere un’immigrazione giovane e qualificata, senza squilibri di genere e senza problemi per quel che riguarda l’integrazione.
Questi giovani immigrati si integrerebbero facilmente. Altrettanto facilmente si adeguerebbero, però, ai modelli culturali italiani, anche sotto il profilo delle scelte riproduttive. Il problema della bassa natalità, dunque, rimarrebbe. Va ricordato che l’economia richiede anche immigrati disposti a svolgere i lavori faticosi, non qualificati e a basso salario, che gli italiani generalmente rifiutano. Sono molti, poi, i giovani italiani che emigrano, anche per ragioni economiche.
Part-time e mezza pensione
Tra le azioni parallele, una riguarda il sistema previdenziale. Più che una riforma, quella proposta da Esposito è una “rivoluzione” basata su una regola aurea: la doppia contribuzione. Accanto ai contributi economici, andrebbero considerati anche i “contributi demografici” misurati dalla nascita dei nipoti. Fissata una soglia standard di 70 anni, l’età per la pensione andrebbe, cioè, ridotta sulla base del numero di nipoti. Il meccanismo potrebbe prevedere altre forme di flessibilità, come un periodo “opzionale di mezza pensione lungo fino a otto anni, durante il quale il lavoro svolto si dimezza in termini di orario, retribuzione e contributi versati, ma durante il quale si inizia a incassare metà della pensione”.
Queste azioni parallele sono idee concrete su cui ragionare per affrontare il calo demografico che pone sfide ineludibili e di non poco conto. L’approccio rigoroso e privo di pregiudizi ideologici rende la lettura del libro di Marco Esposito utile e stimolante.
Infine, mi sia consentita una riflessione che esula dal volume in questione. Lo abbiamo visto all’inizio: il calo demografico è una tendenza globale e irreversibile che pone problemi e sfide inedite. Se guardiamo in una prospettiva di sostenibilità ambientale non è, però, un male che si verifichi. I cambiamenti che ne derivano richiedono politiche nuove, ma anche lenti nuove per guardare al futuro. Dovremmo, innanzitutto, dismettere le lenti del passato; disabituarci, noi abitanti dei paesi ad alto reddito, all’idea che la crescita economica e demografica illimitate siano non solo possibili, ma anche auspicabili.