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Ma quale coesione?

by Antonio Aquino
30/04/2016
in Lavoro e Occupazione, Settori produttivi
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Salari, investimenti e produttività nel Mezzogiorno

I dati sulla disoccupazione nelle regioni europee nel 2015 pubblicati da Eurostat[1] evidenziano in modo clamoroso il fallimento delle  politiche di coesione dell’Unione europea. In particolare, le stime di Eurostat evidenziano come il tasso di disoccupazione totale vari da valori non superiori al 3% in 9 regioni della Germania, una della Cecoslovacchia (Praga) e una dell’Austria (Tirolo) a valori fra il 26 e il 34% in dieci regioni della Grecia e della Spagna, e del 23% in Calabria. Ancora più marcate le differenze per quel che riguarda la disoccupazione giovanile: il tasso di disoccupazione per le persone di età compresa fra15 e 24 anni  varia da valori compresi fra il 3,4% e il 7% in 10 regioni della Germania, a valori superiori al 55% in 11 regioni della Spagna, della Grecia e dell’Italia. Fra le 11 regioni dell’Unione europea con più elevata disoccupazione giovanile si trovano la Calabria, la Sicilia e la Sardegna, con tassi di disoccupazione giovanile pari, secondo le stime Eurostat, al 65% per la Calabria e al 56% per la Sicilia e la Sardegna. Inoltre, fra il 2014 e il 2015 il tasso di disoccupazione giovanile é diminuito dal 20,2% al 20,4% nella media dell’Unione europea e dal 42,7% al 40,3% per l’Italia nel suo complesso, mentre é aumentato in Calabria dal 60% al 65%.

L’anomalia della Calabria appare evidente anche rispetto alle principali regioni del Nord dell’Italia, in cui il tasso di disoccupazione totale è compreso fra il 7 e l’8% (23% in Calabria) e quello giovanile fra il 25 e il 32% (65% in Calabria).

Questi dati sulla disoccupazione nelle regioni europee smentiscono clamorosamente le teorie sugli aumenti di produttività come causa della disoccupazione, in quanto il tasso di disoccupazione é nettamente più basso nelle regioni in cui la produttività é più alta; essi evidenziano invece un legame molto forte con la competitività delle diverse regioni. In particolare, la determinante fondamentale dei bassi tassi di disoccupazione in Germania é la forte competitività delle produzioni tedesche, stimolata negli anni dell’euro sia attraverso una crescita dei salari molto più contenuta che nei paesi mediterranei dell’eurozona, soprattutto fra il 1998 e il 2008[2], sia mediante la riduzione della componente fiscale del costo del lavoro finanziata mediante aumenti delle imposte indirette sui consumi (“svalutazione fiscale”). All’interno dell’Italia, la forte differenza nei tassi di disoccupazione fra regioni del Nord e del Sud dell’Italia dipende da un forte squilibrio competitivo derivante da differenze di produttività non compensate da analoghe differenze nel costo del lavoro.

Il fallimento clamoroso delle politiche di coesione dal punto di vista delle opportunità di lavoro, soprattutto per i giovani, deriva essenzialmente dal fatto di aver sottovalutato l’importanza di mantenere in equilibrio competitivo le diverse regioni europee, possibilmente riducendo, mediante le politiche strutturali le differenze di produttività, ma anche mediante interventi di differenziazione territoriale dell’imposizione fiscale sul lavoro impiegato nella produzione di beni a mercato internazionale, in particolare all’interno di paesi caratterizzati da significative differenze regionali di produttività.

[1] Eurostat, Unemployment Statistics at Regional level, aprile 2016.

[2] Nei primi anni dell’euro la Germania era in una situazione di carenza di competitività rispetto agli altri paesi dell’eurozona, evidenziata sia da disavanzi, sia pur modesti, del conto corrente della bilancia dei pagamenti internazionali, sia da tassi di disoccupazione significativamente più elevati della media dell’eurozona.  Fra il 1998 e il 2008 tuttavia la Germania registrò una riduzione del costo del lavoro per unità di prodotto pari a quasi il 30% rispetto a Spagna, Italia, Grecia e Portogallo e a circa il 15% rispetto alla Francia, nonostante una  crescita  della produttività inferiore all’1% all’anno, grazie ad an aumento delle retribuzioni medie per occupato del 12%, a fronte di aumenti del 30% in Italia, del 34% in Francia, del  47% in Spagna, del 48% in Portogallo, del 74% in Grecia (OECD Economic Outlook,  Statistical annex, 2015, n. 2, tavole 11, 12, 14, 52; “The Sick man of the euro”, The Economist, 3 giugno 1999; “Germany on the Mend, The Economist, 3 novembre 2004; Dustmann C., Fitzenberger B., Schonberg U., Spitz-Oener A., “From Sick Man of Europe to Economic Superstar: Germany’s Resurgent Economy, Journal of Economic Perspective, 2014, n. 1, pp. 167-188)

Antonio Aquino

Antonio Aquino

Professore Emerito di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia Statistica e Finanza DESF "Giovanni Anania" dell'Università della Calabria. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università L. Bocconi di Milano nel 1970. PhD presso la London School of Economics. Nel 1987 ha ricevuto il Premio Saint Vincent per l’economia.

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