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La mortalità in Italia dall’Unità al Covid-19

by Vittorio Daniele
30/12/2021
in Società e Demografia
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La mortalità in Italia dall’Unità al Covid-19
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Gli indicatori epidemiologici, come i tassi di mortalità generale e infantile, sintetizzano efficacemente il progresso sociale delle nazioni. Il loro andamento mostra, per citare il titolo di un bel libro di Angus Deaton, «la grande fuga» dalla miseria, dalla malnutrizione e dalla morte precoce che, in passato, erano la norma nelle nazioni oggi più avanzate come l’Italia.

Nei centosessant’anni di storia unitaria del nostro paese, i cambiamenti negli standard di salute sono stati enormi. Il progresso si può racchiudere in un dato: nel 1861 l’aspettativa di vita alla nascita in Italia era di circa 30 anni, non dissimile da quella della Roma dei tempi di Augusto, cioè di duemila anni fa. Oggi, l’aspettativa di vita ha raggiunto gli 82 anni ed è tra le più elevate al mondo.

Il declino del tasso di mortalità

Il tasso di mortalità generale, dato dal numero di decessi ogni mille persone, è un importante indicatore delle condizioni di salute della popolazione. Il suo andamento nei centosessant’anni dall’Unità è illustrato dalla figura 1. Nel 1862, si verificarono 815 mila decessi su una popolazione di 26.328.000 abitanti (considerando l’Italia ai confini attuali), cioè 30 morti ogni mille abitanti. Nei successivi vent’anni, il tasso di mortalità si mantenne stabile, se si eccettua il picco del 1867, anno in cui l’Italia fu colpita da un’epidemia di colera che causò 160.500 vittime. Negli anni Ottanta, la mortalità cominciò a declinare, fino a raggiungere i 18 morti ogni mille abitanti alla vigilia della Prima guerra mondiale.

Nel 1918, l’Italia – come il resto del mondo – fu funestata dall’influenza «spagnola», causata dal virus a Rna del tipo A H1N1 che, secondo le stime, causò circa 466 mila vittime. L’Italia fu uno dei paesi più colpiti dalla pandemia. Considerando che la popolazione era di circa 38 milioni, la spagnola causò, nel complesso, la morte dell’1,2% degli italiani. In quell’anno, il tasso di mortalità raggiunse i 35 morti ogni mille abitanti, il più alto della storia unitaria italiana. Poi calò rapidamente, fino al 14 per mille del 1940. Con la Seconda guerra mondiale, la mortalità aumentò di nuovo, fino al 18 per mille del 1943, anno in cui l’Italia firmò l’armistizio.

Nella seconda metà degli anni Cinquanta, grazie alle scoperte della medicina e al rapido miglioramento nel tenore di vita e nelle condizioni igienico-sanitarie, il tasso di mortalità raggiunse i valori più bassi mai registrati nel nostro paese. La diffusione degli antibiotici, in particolare di penicillina e streptomicina, fu decisiva per la sconfitta di molte malattie infettive che ancora rappresentavano le principali cause di morte. Progressi sempre più rapidi avvennero in tutte le branche della medicina.

Dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso ad oggi, il tasso di mortalità generale è rimasto sostanzialmente invariato. Attenzione, però: la mortalità è influenzata dalla composizione per età della popolazione. Si pensi, per esempio, che nel 1862 si contavano 12 ultrasessantacinquenni ogni cento bambini e ragazzi tra 0 e 14 anni, mentre oggi se ne contano 180. L’età media della popolazione è, dunque, considerevolmente aumentata. Se calcolassimo il tasso di mortalità tenendo conto del mutamento nella struttura demografica (cioè standardizzandolo per età), vedremmo ulteriori miglioramenti nello stato di salute della popolazione anche nei periodi più recenti.

Nel quinquennio precedente la pandemia da coronavirus, la mortalità in Italia è stata di poco superiore al 10 per mille: circa 645 mila morti annui su una popolazione di 60 milioni. Nel 2020, la pandemia ha aggiunto 100.526 morti in più alla media del quinquennio precedente; nel 2021 (dati al mese di novembre), l’eccesso di mortalità è stato di 51 mila morti. Questa «mortalità in eccesso» dovuta al covid-19, include anche i decessi dovuti alla congestione del sistema sanitario, conseguenza indiretta della pandemia. Nel 2020, il tasso di mortalità è stato del 12,5 per mille, un valore analogo a quello registrato nel 1946 quando, però, la demografia italiana era differente dall’attuale.

Il grande progresso: il declino della mortalità infantile

Nell’Italia dell’Ottocento, come nelle altre nazioni, si moriva soprattutto di malattie infettive: difterite, febbre tifoide, morbillo, pertosse, broncopolmoniti, ma anche tubercolosi e malaria falciavano annualmente migliaia di vite. Le pessime condizioni igieniche e la nutrizione scarsa e sbilanciata aggravavano il quadro epidemiologico. Altissima la mortalità dei bambini. Si consideri che sui circa 760 mila morti registrati nel 1863 in Italia, quasi la metà (374.400) erano bambini tra 0 e 4 anni!

Negli anni 1863-70, per ogni mille neonati, 225 morirono entro il primo anno di vita. Tassi di mortalità infantile così elevati non si riscontrano, oggi, neppure nei paesi più poveri al mondo, come la Somalia o la Sierra Leone.

Come mostra la figura 2, la mortalità infantile cominciò a declinare negli anni Ottanta dell’Ottocento, quando scese al di sotto dei 200 morti ogni mille nati. Nel 1914, aveva raggiunto il 130 per mille. L’influenza spagnola causò un brusco aumento: nel 1918-‘19 la mortalità nel primo anno di vita fu di 187 morti ogni mille nati. Secondo alcune stime, la spagnola causò la morte di 15 mila bambini con meno di un anno e di 60 mila tra quelli con un’età compresa tra 1 e 4 anni.

Negli anni seguenti, la mortalità infantile continuò a declinare. Raggiunse i 100 morti ogni mille nati negli anni Trenta del secolo scorso e i 50 ogni mille alla metà degli anni Cinquanta. Dopo quarant’anni, negli anni Novanta, la mortalità infantile era ormai del cinque per mille. Oggi, i bambini che muoiono entro il primo anno sono poco meno di tre su mille (la maggior parte dei decessi si registra entro un mese dalla nascita). La progressiva diminuzione della mortalità infantile – una delle principali spiegazioni del declino nel tasso complessivo di mortalità – più di altri indicatori sintetizza i progressi avvenuti nel nostro paese dall’Unità a oggi.

 

Per saperne di più

  • Atella V., S. Francisci, G. Vecchi, 2011, Salute, in: G. Vecchi, In ricchezza e povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità a oggi, il Mulino, Bologna
  • Fornaciari G., 2020, L’influenza spagnola e la pandemia da Covid-19, in: G. Palmieri (cura di), Oltre la pandemia. Società, salute, economia e regole nell’era post Covid-19, vol. II, ESI, Napoli
  • Istat e Unicef, 2011, La mortalità dei bambini ieri e oggi. l’Italia post-unitaria a confronto con i Paesi in via di sviluppo, Unicef, Roma
  • Istat, 2019, L’evoluzione demografica in Italia dall’unità a oggi, Istat, Roma
  • Istat, 2011, L’Italia in 150 Anni. Sommario di statistiche storiche 1861-2010, Istat, Roma
  • Mancini P., A. Pinnelli, 1999, Il declino della mortalità infantile e giovanile in Italia tra le fine ‘800 e inizio ‘900: un cammino interrotto da periodi difficili, in: “Historia Contemporánea”, n.18
  • Volpi R., 1990, Storia della popolazione italiana dall’Unità a oggi, La Nuova Italia

 


 

Vittorio Daniele

Vittorio Daniele

Professore ordinario di Politica Economica presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. La sua attività di ricerca riguarda, principalmente, i divari regionali in Italia in prospettiva storica e l'economia dello sviluppo. Oltre a numerosi articoli ha pubblicato i volumi: La crescita delle nazioni. Fatti e teorie, Rubbettino, 2008; Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (con Paolo Malanima), Rubbettino, 2011; Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d'Italia, Rubbettino, 2019 (il volume ha ricevuto il Premio Sele d'Oro Mezzogiorno 2020).

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