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Il destino della Calabria si decide a Bruxelles

by Antonio Aquino
23/09/2015
in Conti Economici Regionali
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Spesso si sostiene che il futuro della Calabria é nelle mani dei calabresi, ma in realtà non  è così.

La verità è che l’impedimento principale allo sviluppo produttivo della Calabria, così come di altre regioni del Mezzogiorno,  è rappresentato da vincoli imposti dall’Unione europea che violano un principio fondamentale dell’analisi economica: differenze di produttività fra diverse nazioni o regioni nelle attività produttive mobili devono essere compensate da analoghe differenze nel prezzo del lavoro per le imprese.

L’indicatore che meglio evidenzia la situazione economica della Calabria é il tasso di occupazione, vale a dire il numero di persone occupate (in modo sia regolare che irregolare) per ogni 100 persone in età da lavoro (15-64 anni).  Nel 2014, per ogni 100 persone in età da lavoro ne sono state occupate 39 in Calabria, così come in Sicilia e in Campania, 42 in Puglia, 47 in Basilicata, 48 in Molise, 49 in Sardegna, 54 in Abruzzo, 49 in Grecia, 57 in Spagna, 60, in media, nelle regioni del centro dell’Italia, 65, in media, nel Nord dell’Italia, 64 in Francia, 68 negli USA, 65, in media, nei paesi OCSE, 73 nel Regno Unito, 74 in Germania, 73 in Giappone, 75 in Cina, 80 in Svizzera (Istat, Banca d’Italia, OECD). Questi numeri evidenziano come l’economia calabrese utilizzi il potenziale produttivo rappresentato dalle persone in età da lavoro in misura pari a meno della metà della Svizzera, a poco più della metà della Germania, al 60% del Nord dell’Italia, della Francia e della media OCSE.  La differenza sarebbe ancora maggiore se si tenesse conto soltanto del lavoro utilizzato in modo regolare, visto che la percentuale di lavoro sommerso è in Calabria più del doppio di quello delle regioni del Nord dell’Italia, che a sua volta é analogo a quello degli altri principali paesi europei. Per questo aspetto la Calabria non può essere considerata una sostanziale anomalia rispetto al resto del Mezzogiorno, essendo il tasso di occupazione in Calabria uguale a quello della Sicilia e della Campania, e inferiore soltanto di tre punti percentuali rispetto a quello della Puglia.

L’estrema debolezza dell’economia della Calabria appare ancora più netta se si guarda all’articolazione settoriale dell’occupazione: per ogni 1000 persone in età da lavoro, in Calabria ne sono occupate circa 41 in agricoltura, 34 nell’industria in senso stretto (principalmente industria manifatturiera), 27 nelle costruzioni, 288 nei servizi; nel Nord dell’Italia, invece, per ogni 1000 persone in età da lavoro, ne sono occupate circa 22 in agricoltura, 169 nell’industria in senso stretto, 43 nelle costruzioni, 417 nei servizi (Istat e Banca d’Italia). L’anomalia della Calabria dal punto di vista dell’occupazione é quindi concentrata prevalentemente nell’industria in senso stretto, in cui la Calabria registra una densità occupazionale pari a un quinto di quella del Nord dell’Italia. La minore densità occupazionale della Calabria nei servizi deriva a sua volta principalmente dalla minore occupazione nell’industria, giacché l’occupazione nei servizi è trainata dall’occupazione nell’industria, sia perché le imprese industriali domandano servizi, sia perché il reddito distribuito dalle imprese industriali è generatrice di ulteriore domanda di servizi.

L’occupazione in Calabria, oltre ad  essere bassa, é anche di minore qualità, nel senso che gran parte di essa é in settori a mercato prevalentemente locale, ed é quindi “protetta” completamente dalla concorrenza dei lavoratori di altre regioni e paesi. Caratteristica peculiare delle attività manifatturiere é invece l’assenza di vincoli localizzativi, sia dal lato della domanda sia dal lato dell’offerta di materie prime e intermedie; esse tendono quindi a localizzarsi nelle regioni e paesi in cui il costo del lavoro per unità di prodotto é più basso. La loro assenza pressoché totale in Calabria segnala quindi una carenza di competitività della Calabria in queste attività, dal punto di vista del costo del lavoro per unità di prodotto. La carenza di  infrastrutture, e in particolare quelle di collegamento con altre regioni e paesi, non sembra avere un ruolo determinante, poiché la Calabria importa gran parte dei prodotti industriali utilizzati; se davvero il problema principale fosse rappresentato dalla carenza di infrastrutture, ciò dovrebbe costituire un ostacolo sia per le esportazioni sia per le importazioni di manufatti in Calabria!

Lo strumento tipicamente utilizzato per aumentare la competitività di una regione o di un paese è una diminuzione del costo del lavoro, attraverso una svalutazione “reale” del tasso di cambio nel caso di paesi indipendenti che adottano monete diverse, oppure mediante retribuzioni monetarie più basse nei paesi caratterizzati da minore produttività fra paesi  che adottano la stessa moneta, come quelli dell’area euro (secondo le stime Eurostat, nel 2014 il prezzo medio per le imprese di un’ora di lavoro é stato 34,6 euro in Francia, 31,4 euro in Germania, 28,3 euro in Italia, 21,3 euro in Spagna, 14,6 euro in Grecia, 13,1 euro in Portogallo). All’interno di ciascun paese motivazioni di natura politica non consentono differenziazioni salariali compensative delle differenze di produttività fra le diverse regioni, poiché tali differenze sono percepite come profondamente inique e sono politicamente estremamente impopolari. L’unica alternativa reale alla disoccupazione nelle regioni del Mezzogiorno, considerato il fallimento pressoché totale dell’esperienza dei fondi strutturali,   potrebbe essere rappresentata quindi da sgravi fiscali e contributivi per le attività manifatturiere localizzate nelle regioni del Mezzogiorno; a questi sgravi si oppone tuttavia la politica a tutela della concorrenza dell’Unione europea.

Fino a quando questa impostazione delle politiche dell’Unione europea non sarà ribaltata,  rendendo addirittura obbligatorio ciò che fino ad ora é stato vietato, così da consentire fra Lombardia e Calabria differenze nel costo del lavoro per le imprese manifatturiere analoghe a quelle esistenti fra la Francia e la Spagna,   il destino della  Calabria, così come quello di altre grandi regioni del Mezzogiorno, come la Campania, la Sicilia e la Puglia, sarà un destino di disoccupazione e sottosviluppo.

Antonio Aquino

Antonio Aquino

Professore Emerito di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia Statistica e Finanza DESF "Giovanni Anania" dell'Università della Calabria. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università L. Bocconi di Milano nel 1970. PhD presso la London School of Economics. Nel 1987 ha ricevuto il Premio Saint Vincent per l’economia.

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