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Draghi, Trump e il Mezzogiorno

by Antonio Aquino
19/06/2019
in Internazionalizzazione, Mezzogiorno
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Draghi, Trump e il Mezzogiorno

“Mario Draghi just announced more stimulus could come, which immediately dropped the Euro against the Dollar, making it unfairly easier for them to compete against the USA. They have been getting away with this for years, along with China and others.”

Donald Trump, Twitter, 18 giugno 2019

 

La preoccupazione espressa dal Presidente Trump sugli effetti negativi per l’economia americana (e, quindi, positivi per l’economia europea) di un deprezzamento dell’euro rappresenta una conferma dell’importanza tuttora attribuita al prezzo del lavoro per le relazioni di competitività fra i diversi paesi. Gli effetti di un deprezzamento dell’euro sono, infatti, del tutto equivalenti a una diminuzione del prezzo relativo del lavoro europeo rispetto agli altri paesi. Una valutazione del tutto simmetrica era stata espressa intorno al  2010, quando erano necessari circa 1,40 dollari per comprare un euro a confronto degli attuali 1,12 dollari per euro, in un articolo sul settimanale l’Espresso, dal titolo ” La forza per l’America di un dollaro debole”. Valutazioni analoghe sono state più volte espresse da diversi esponenti politici italiani riguardo presunti comportamenti di  concorrenza sleale da parte di paesi dell’Unione europea che stimolerebbero delocalizzazioni di imprese italiane verso paesi con costi del lavoro molto più bassi che in Italia[1].

Il principale  obiettivo della proposta di un “salario minimo europeo” avanzata dal Movimento 5 stelle sembrerebbe essere quella di ridurre le possibilità dei paesi dell’Unione europea con più bassa produttività di utilizzare il costo del lavoro come potente arma di competitività nei confronti delle imprese italiane.

Stando così le cose, appare difficile comprendere la persistente prevalente ostilità nei confronti di misure volte a stimolare la competitività delle regioni del Mezzogiorno anche mediante un livello del costo del lavoro nelle produzioni a mercato internazionale che tenga conto della minore produttività rispetto sia alle regioni del Nord dell’Italia, sia agli altri paesi. Ciò anche in considerazione del fallimento clamoroso delle politiche di coesione evidenziato ultimamente anche da Accetturo e de Blasio (2019).

Nicola Rossi,  commentando l’analisi di Accetturo e de Blasio, ha proposto  di: 1) limitare la competenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro alla parte normativa, e di consentire per la parte economica differenze che tengano conte dei differenziali di produttività fra le diverse regioni;  2) concentrare i fondi europei sul completamento delle reti infrastrutturali, sia materiali sia immateriali, e applicare nel frattempo aliquote d’imposta per le persone giuridiche differenziate regionalmente in rapporto alla dotazione infrastrutturale delle diverse regioni; 3) cercare di ottenere l’incarico di Commissario europeo per le politiche regionali, con l’incarico di stimolare un radicale mutamento delle politiche di coesione.

Queste proposte sembrano sottovalutare le difficoltà di natura politica che rendono estremamente improbabile modifiche nella struttura dei contratti nazionali di lavoro, in particolare nel settore pubblico, che comportino differenze retributive tali da compensare differenze di produttività nei settori esposti alla concorrenza internazionale nell’ordine del 30-40 per cento. Per stimolare in misura significativa la competitività delle regioni del Mezzogiorno sembrerebbe, quindi, necessario poter impiegare una parte rilevante dei fondi europei per ridurre per un periodo di almeno 30 anni gli oneri fiscali e contributivi per i lavoratori impiegati nel Mezzogiorno per la produzione di beni a mercato internazionale.

Per lo sviluppo del Mezzogiorno sarebbe, quindi, importante ottenere, più che un Commissario alle politiche di coesione, un Commissario alla Concorrenza con il mandato di superare i vincoli fino ad ora imposti alle differenziazioni regionali negli oneri fiscali e contributivi sul lavoro.


[1] Secondo le stime Eurostat di giugno 2109, nel 2018 il costo medio complessivo per le imprese di un’ora di lavoro é stato di 27,4 euro nei paesi dell’Unione europea, con un massimo di 45,3 euro in Danimarca e di 5,4 euro in Bulgaria.  In particolare é stato di circa 28 euro in Italia, 36 in Francia, 34 in Germania,  22 in Spagna, 16 in Grecia, 14 in Portogallo, 12 in Slovacchia, 10 in Polonia, 7 in Romania. I saldi di bilancia dei pagamenti dei paesi con costi del lavoro molto più bassi, sostanzialmente in equilibrio, sembrano evidenziare come i più bassi costi del lavoro riflettano livelli di produttività molto più bassi, e che non sembra essere quindi corretto accusarli di concorrenza sleale. Spesso si sostiene che il positivo andamento dell’economia in Romania, Portogallo ecc. deriva da un più efficiente impiego dei fondi strutturali europei, i realtà la causa principale è da ricercare probabilmente nella possibilità di questi paesi di mantenere costi del lavoro adeguati ai livelli di produttività, una possibilità fino ad ora non consentita alle imprese del Mezzogiorno.

Antonio Aquino

Antonio Aquino

Professore Emerito di Economia Politica presso il Dipartimento di Economia Statistica e Finanza DESF "Giovanni Anania" dell'Università della Calabria. Laureato in Economia e Commercio presso l’Università L. Bocconi di Milano nel 1970. PhD presso la London School of Economics. Nel 1987 ha ricevuto il Premio Saint Vincent per l’economia.

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