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Il grande balzo in avanti dell’inizio della vecchiaia

by Giuseppe De Bartolo
07/11/2019
in Società e Demografia
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Il grande balzo in avanti dell’inizio della vecchiaia

I Paesi occidentali, in particolare quelli dell’Europa, e il Giappone stanno conoscendo un’intensa e rapida senilizzazione, a seguito della riduzione di lungo periodo della natalità e della mortalità. Secondo le Nazioni Unite, questo fenomeno, che non ha precedenti nella storia dell’umanità, sarà accentuato ancora di più nel XXI secolo, che per questo motivo è chiamato il “secolo degli anziani”. Nonostante il crescente interesse per l’invecchiamento demografico, le cui implicazioni economiche, sociali e sanitarie suscitano inquietudini sul presente e sul futuro delle popolazioni interessate, i concetti usati per analizzarlo hanno segnato fino ad oggi il passo.

Ricordiamo che in tutto questo periodo di notevoli cambiamenti sociali ed economici le fasi della vita si sono profondamente modificate. L’aspettativa di vita è cresciuta sensibilmente; è andata allungandosi anche la sopravvivenza in buona salute. Di conseguenza, la vera età di un individuo non può essere più rappresentata dall’età cronologica, perché essa include caratteristiche che sono mutate nel tempo, come le condizioni di salute, le funzioni cognitive e il tasso di disabilità. Quindi, è fuorviante confrontare coloro i quali hanno oggi 40 anni con chi aveva 40 anni un secolo fa.

Queste e altre valutazioni hanno indotto i demografi a dover riconsiderare le tradizionali misure statiche dell’invecchiamento fino a oggi adottate, basate sull’assunzione che la vecchiaia abbia inizio intorno a 65 anni, quando cioè le persone cessano di essere economicamente attive. Per tener conto di ciò, ma soprattutto per tener conto dell’eccezionale aumento dell’aspettativa di vita soprattutto nelle età più avanzate, sono state recentemente proposte misure dinamiche dell’invecchiamento, che guardano ai residui anni che restano da vivere a una persona. In questo modo ciascun individuo potrebbe essere etichettato con due età: gli anni già vissuti e quelli ancora da vivere.

Indici statici e indici dinamici dell’invecchiamento. Tra le misure dell’invecchiamento è spesso usato il peso percentuale degli ultra sessantacinquenni sul totale della popolazione, chiamato indice d’invecchiamento[i]. Questa misura guarda all’invecchiamento dalla prospettiva del numero di anni già vissuti. Invece, come sottolineato in precedenza, volendo tener conto dell’aumento della sopravvivenza nelle età avanzate, sarebbe più corretto considerare il numero di anni che resterebbero da vivere a un individuo. Questa idea, avanzata per la prima volta dal demografo Norman Ryder nel 1975, è stata utilizzata più recentemente dai demografi Sanderson e Sherbov per costruire degli indici dinamici che adottano come soglia della vecchiaia l’età cui corrisponde un’aspettativa di vita residuale di 15 anni[ii], che nel caso dell’Italia è di anni 72,3 nel 2018. Tra questi indici qui abbiamo considerato la percentuale della popolazione con un’aspettativa di vita residuale di 15 anni o meno.

E’ vero che entrambe le misure menzionate, la statica e la dinamica, sono influenzate dall’aspettativa di vita, ma mentre la prima, nel contesto attuale di un continuo allungamento della sopravvivenza, sovrastimerebbe l’invecchiamento demografico, la seconda invece coglierebbe meglio tale processo, e potrebbe così diventare la base, per esempio, per cambiamenti di policy in vista dell’obiettivo di rendere il sistema pensionistico più sostenibile.

Adottando questa nuova idea della vecchiaia si avrebbero delle conseguenze di non poco conto. Per esempio, Italia, Giappone e Germania che oggi occupano i primi posti tra i dieci paesi con il maggior invecchiamento, misurato dall’indice d’invecchiamento (rapporto tra la popolazione di 65 anni e oltre e la popolazione totale), considerando invece l’indice dinamico in precedenza definito sparirebbero da questa graduatoria (Tabella 1). Non solo, ma come si coglie dalla Tabella 2, nel 2018 il nostro Paese avrebbe una popolazione anziana pari al 14,6%, mentre con l’indice statico che oggi viene utilizzato nelle statistiche correnti gli anziani sarebbero il 22,8%.

La nuova geografia dell’invecchiamento. Com’è noto, l’Italia ha da qualche tempo completato il processo di transizione demografica che l’ha traghettata da un regime demografico naturale a uno moderno; da alti tassi di natalità e mortalità (38 nati e 30,8 morti per mille abitanti nel 1862) a bassi livelli di questi due fenomeni (7,3nati e 10,5 morti per mille abitanti nel 2018). Alla fine di questa parabola, ci ritroviamo in un Paese con una bassissima fecondità, 1,32 figli per donna feconda, con un’aspettativa di vita di oltre ottanta anni, e anche con una piramide della popolazione segnata da una forte senilizzazione. Utilizzando l’indice dinamico al posto di quello statico si ottiene invece una nuova geografia dell’invecchiamento (Tabella 2), caratterizzata da soglie della vecchiaia che variano, secondo i livelli della sopravvivenza osservate nei vari contesti territoriali, dal valore di 71,2 anni per la Campania a 73,3 anni del Trentino Alto Adige, e con un balzo in avanti della soglia classica della vecchiaia di 6-8 anni. Un altro aspetto che emerge è che con questo nuovo approccio tutte le regioni conoscerebbero una diminuzione rilevante della popolazione considerata fino ad oggi anziana, con riduzioni variabili dal 6,4% per la Campania al 10,4 per la Sardegna. Questi risultati, poiché basati su robuste considerazioni metodologiche, potrebbero dunque essere utilmente portati nei dibattiti in corso ormai da anni per rendere il sistema del nostro welfare più sostenibile.


Note
[i] Ricordiamo che oltre a questo indicatore è largamente usato anche l’indice di vecchiaia, cioè il rapporto percentuale tra i vecchi (65 anni e più di età) e la popolazione giovanissima (0-14 anni di età).
[ii] Che era l’aspettativa di vita all’età di 65 anni in molti paesi a bassa mortalità nel 1970.


Riferimenti bibliografici

Cristensen, G. Doblhammer, R. Rau, J. V. Vaupel, Ageing population: the challenges ahead, The Lancet, 374: 1196-208, 2009.
De Bartolo, E se alzassimo la soglia della vecchiaia? www.opencalabria.com, 27 dicembre 2018.
Golini, A. Rosina (a cura di), Il secolo degli anziani. Come cambierà l’Italia, Il Mulino, 2011.
IIASA, Analyzing Population Aging From a New Perspective, IIASA, Policy Brief, no. 12, 2016.
IIASA, Aging Demographic Data Sheet 2018, Laxemburg, Austria, 2018.
Lee, Rethinking Age and Aging, Population Bulletin 63, no. 4, 2008.
E. Levine, E. M. Crimmins, Is 60 the New 50? Examining Changes in Biological Age Over the Past Two Decades, Demography, 55: 387-402, 2018.
B. Ryder, Notes on stationery populations, Population Index, 41: 3-28, 1975.
C. Sanderson, S. Scherbov, P. Gerland, Probabilistic population aging, PLoS ONE, 12 (6), 2017.
Scommegna, Which Country Has the Oldest Population? It Depends on How You Define “Old”, PRB, September 25, 2019.


 

Giuseppe De Bartolo

Giuseppe De Bartolo

già Professore Ordinario di Demografia presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza "Giovanni Anania" dell'Unical. Laureato in Scienze Statistiche e Attuariali presso l’Università di Roma nel 1966. Actuarial Student presso la Continental Assurance Co di Chicago nel 1967-1968. Ha conseguito la MaÎtrise in Demografia presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) nel 1979. E’ stato visiting professor presso le Università di North York (Ontario) e di Niznhi Novgorod (Russia). S’interessa di stima e previsione della popolazione, di demografia regionale e delle minoranze linguistiche, di migrazione internazionale, di demografia applicata (Business Demography). Ha pubblicato numerosi saggi su riviste nazionali e internazionali ed è membro delle più importanti società scientifiche che studiano i problemi della popolazione.

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