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Perché gli investimenti ambientali andrebbero esclusi dal Patto di Stabilità

by Vittorio Daniele
14/09/2019
in Ambiente e Territorio, Istituzioni
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Perché gli investimenti ambientali andrebbero esclusi dal Patto di Stabilità
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Nell’Unione Europea, gli investimenti pubblici a tutela dell’ambiente e per contrastare il cambiamento climatico potrebbero essere esclusi dai vincoli fiscali del Patto di Stabilità.

Ulteriori finanziamenti potrebbero essere attivati, poi, attraverso la Banca Europea degli Investimenti. Come evidenzia il Patto europeo finanza-clima, un piano d’investimenti pubblici per l’ambiente stimolerebbe la crescita economica in un’ottica di sostenibilità ed equità tra le generazioni.

Nonostante le politiche espansive condotte dalla Banca Centrale Europea dal 2014, la crescita economica nell’Unione Europea rimane debole. Con tassi d’interesse prossimi allo zero, in assenza di politiche fiscali espansive, la liquidità immessa dalla BCE si è riversata nei mercati finanziari con modesti effetti sull’economia reale. La necessità d’investimenti pubblici che si affianchino alle politiche monetarie è stata sottolineata, per i paesi con basso livello d’indebitamento, anche da Mario Draghi nel suo intervento al Forum di Sintra dello scorso giugno.

Nel corso del 2019, anche l’economia della Germania ha subito un significativo rallentamento. In risposta, il governo tedesco ha annunciato un piano d’investimenti, parte dei quali destinati a contrastare il cambiamento climatico. Tale scelta – se attuata – avrebbe un significato che va al di là delle tradizionali misure anticongiunturali.

Secondo le stime degli scienziati, nel prossimo trentennio, il cambiamento climatico produrrà enormi costi economici e sociali, minacciando la biodiversità e la vita  umana in ampie zone del pianeta. In Europa, i costi derivanti dal riscaldamento globale sono stati stimati in 100 miliardi di euro all’anno prevedendo, per il 2050, un aumento della temperatura di 2 gradi centigradi. Si tratta di uno scenario ottimistico, che esclude i danni all’agricoltura, alle attività produttive e la perdita di biodiversità.

Chiaramente, il contrasto al cambiamento climatico richiederebbe il coordinamento  internazionale dei governi e l’adozione di misure per abbattere le emissioni inquinanti prodotte dall’industria e dai consumi a livello globale. La necessità di mitigare gli effetti delle attività economiche sul clima rappresenta una sfida per tutte le nazioni, ma può anche aprire delle opportunità. La riconversione industriale, l’adozione e diffusione delle fonti energetiche rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza energetica, insieme con la ricerca che ne è alla base, genererebbero investimenti e nuova occupazione.

Nell’Unione europea, la spesa pubblica per la protezione ambientale ammonta mediamente allo 0,8% del Pil, con quote variabili tra i paesi. Questa percentuale potrebbe aumentare se gli degli investimenti pubblici per l’ambiente venissero scomputati dal calcolo del deficit ai fini del Patto di stabilità e crescita. Per i paesi dell’Unione monetaria europea, si tratterebbe, cioè, di adottare una «regola aurea» per gli investimenti e le misure fiscali che tutelino l’ambiente e riducano le emissioni inquinanti.

La logica alla base della «regola aurea» è che alcuni investimenti pubblici – come quelli per infrastrutture – producono un flusso di redditi nel corso di più anni e ciò ne giustifica il finanziamento attraverso la creazione di debito pubblico, i cui oneri si ripartiscono tra le generazioni. La stessa logica può applicarsi ad altre spese – come quelle per l’istruzione o la ricerca – che producono un rendimento sociale nel lungo periodo. Un ragionamento che vale ancor di più per gli investimenti a tutela dell’ambiente che, più di altri, determinano benefici di lungo periodo che vanno ben oltre quelli meramente monetari.

Continua su “Economia e Politica” – Una «regola aurea» per gli investimenti pubblici a tutela dell’ambiente in Europa


 

Vittorio Daniele

Vittorio Daniele

Professore ordinario di Politica Economica presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro. La sua attività di ricerca riguarda, principalmente, i divari regionali in Italia in prospettiva storica e il ruolo dei fattori culturali nello sviluppo economico.

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